La Corte di Cassazione conferma la non imponibilità del risarcimento del danno per perdita di chance
di R. Lancia -
Con la sentenza del 5 maggio 2022, n. 14344, la Sezione Quinta della Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla rilevanza fiscale, ai fini delle imposte sui redditi, delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno da perdita di chance.
La vicenda ha avuto origine dall’impugnazione degli avvisi di accertamento tramite cui era stato compiuto un recupero a tassazione, ai fini IRPEF, per redditi di lavoro dipendente delle somme riconosciute da una Azienda Sanitaria Provinciale (A.S.P.) ai propri dipendenti e dirigenti medici a titolo di risarcimento del danno, in esecuzione degli accordi transattivi a conclusione delle cause scaturite dalla pronuncia di condanna al suddetto risarcimento pronunziata dal giudice del lavoro.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice d’appello, che, avendo attribuito alle somme corrisposte dall’A.S.P. natura di risarcimento del danno da perdita di chance professionale, ne aveva decretato la non imponibilità.
L’art. 6, comma 2, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), dispone che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento del danno consistente nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Di conseguenza, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette ad imposizione nella misura in cui risultino destinate a reintegrare un danno da mancata percezione del reddito, mentre non costituiscono, al contrario, reddito imponibile qualora siano corrisposte per riparare un pregiudizio di natura diversa come, ad esempio, quello da perdita di chance.
Nel rigettare il ricorso, la Cassazione ha disconosciuto integralmente la discutibile contestazione erariale sulla base dei seguenti argomenti:
a) la natura di norma generale dell’art. 6, comma 2, del TUIR per essere applicabile a tutte le tipologie di indennità (anche risarcitorie) sostitutive della retribuzione;
b) in relazione all’art. 6, comma 2, del TUIR, il consolidato orientamento in seno alla giurisprudenza di legittimità secondo cui le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo se dirette a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. Sicché, l’indennità corrisposta (in sede transattiva) dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche non sarebbe tassabile (ex multis, Cass., Sez. V, 21 giugno 2002, n. 9111; Cass., Sez. V, 28 ottobre 2000, n. 14241; Cass., Sez. V, 21 maggio 2007, n. 11682).
c) con specifico riguardo al danno da perdita di chance, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette ad imposizione nella misura in cui risultino destinate a reintegrare un danno da mancata percezione del reddito, non costituendo reddito imponibile laddove siano destinate a riparare un pregiudizio di natura diversa. Pertanto, il risarcimento da perdita di chance ottenuto da un dipendente, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa, a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera, non risulterebbe essere imponibile (cfr. Cass., Sez. V, 29 dicembre 2011, n. 29579);
d) di recente, la Cassazione ha statuito che il risarcimento del danno da perdita di chance non ha natura reddituale, poiché consistente nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale. La chance si configura come entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile se viene accertata la ragionevole probabilità dell’esistenza della stessa quale attitudine attuale, fermo restando che l’attribuzione non ha natura reddituale e, di conseguenza, non è tassabile per non essere sostitutiva del reddito non percepito (cfr., Sez. V, 12 ottobre 2018, n. 25471; Cass., Sez. V, 7 febbraio 2019, n. 3632);
e) sono tassabili le somme percepite a titolo di risarcimento del danno dal lavoratore dipendente se volte a reintegrare un danno da mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non lo sono se dirette a riparare un pregiudizio di natura diversa (c.d. danno emergente).
Nel caso in esame, l’origine della vexata quaestio si rinveniva nell’inadempimento contrattuale dell’A.S.P. rispetto al meccanismo della retribuzione di risultato, di cui all’art. 52 del C.C.N.L. Il giudice del lavoro, che si è occupato della vicenda, ha accolto le doglianze dei dirigenti che lamentavano la mancata attivazione del sistema di compensi incentivanti al raggiungimento di determinati risultati prescritti dalla contrattazione collettiva, riconoscendo il risarcimento del danno da perdita di chance, in ragione dell’avvenuto accertamento, tra l’altro, dell’omessa attivazione di obiettivi e/o percorsi professionali e, di conseguenza, della valutazione dei risultati.
In materia di trattamento retributivo dei dirigenti la giurisprudenza di legittimità tende a compiere le seguenti distinzioni:
a) la qualifica dirigenziale fonda la “retribuzione base”;
b) il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione fonda la “retribuzione di posizione”;
c) l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione fonda la “retribuzione di risultato”, che è soggetta per ciascun dirigente ad una determinazione annuale, a seguito della definizione, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno (cfr. Cass., Sez. Lav., 31 gennaio 2018, n. 2462).
La Cassazione – dopo aver riconosciuto la fondatezza dei rilievi compiuti dal giudice tributario di secondo grado che ha ravvisato nelle somme oggetto di percezione natura di danno emergente – non ha ritenuto tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale a causa dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti, essendo irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al C.C.N.L. di un certo comparto (sul punto anche Cass., Sez. VI, 11 febbraio 2022, n. 4488).
La pronuncia in rassegna non assume carattere innovativo per non aggiungere alcunché rispetto allo stato dell’arte esistente tanto in giurisprudenza quanto in dottrina. Fermo il quadro giurisprudenziale già richiamato, la dottrina ha affrontato la tematica de qua in base al combinato disposto dato dagli artt. 1 e 6 del TUIR, che giustifica la legittimità del prelievo fiscale dal possesso di una delle categorie di redditi tassativamente previste dal legislatore con la precisazione che può essere assoggettato a tassazione l’incremento pecuniario che realizzi, nel patrimonio del percettore, un reale aumento della sua preesistente ricchezza (cfr. Falsitta, Manuale di diritto tributario – Parte Speciale, Padova, 2003, 5; Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, 2019, 564 ss.; Fassò, La rilevanza fiscale delle somme percepite, a titolo risarcitorio, in virtù di accordo transattivo, in Dir. prat. trib., 2017, III, 1197 ss.; La Grotta, La tassazione del risarcimento del danno nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Rass. trib., 2010, 640; Vannini, Somme erogate dal datore di lavoro nell’ambito di accordi transattivi novativi: il caso del patto di non concorrenza, in Dir. prat. trib., 2010, VI, 11019 ss.).
Il fulcro del problema si rinviene, perciò, nella classificazione del tipo di danno oggetto di risarcibilità in relazione all’effettivo pregiudizio economico subito dal danneggiato. La nozione di “danno risarcibile”, ai sensi dell’art. 1223 c.c., ricomprende sia il danno emergente che il lucro cessante e tale distinzione – come anticipato – produce notevoli conseguenze ai fini fiscali, in quanto solo le somme percepite a titolo di lucro cessante sconterebbero la tassazione (contra, Marello, Il controverso trattamento fiscale dell’indennità supplementare dirigenziale, in Giur. it., 2007, VII, 1819 ss., il quale, rispetto al danno da perdita di chance, ha affermato che, essendo ritenuto danno emergente, dovrebbe essere considerato non imponibile, tuttavia, se si intende la perdita di chance come concreta ed effettiva occasione di conseguire un bene presenta “più di un elemento che lascia supporre che quando la perdita di chance sia ricollegata a redditi originariamente imponibili (come quelli da lavoro dipendente), il risarcimento costituisca esso stesso reddito imponibile della medesima specie”).
Mentre la perdita di chance consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale ed è priva di natura reddituale, l’indennizzo percepito a titolo di lucro cessante è diretto a compensare, in via integrativa o sostitutiva, la mancata percezione di redditi di lavoro ovvero il mancato guadagno e le somme corrisposte sono dirette a sostituire un reddito non conseguito. A ben vedere, tra l’altro, ciò è, altresì, condiviso dalla stessa Agenzia delle Entrate che in vari documenti di prassi ha ribadito questo concetto, sebbene, in concreto, non siano infrequenti riqualificazioni erariali di somme corrisposte a titolo risarcimento del danno (da danno emergente in lucro cessante) con conseguenti riprese a tassazione (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione 27 maggio 2002, n. 155/E, 2; Agenzia delle Entrate, risoluzione 7 dicembre 2007, n. 356/E, 3).
Con riguardo al demansionamento e alla perdita di chance, l’Amministrazione finanziaria, di recente, ha aderito alla richiamata giurisprudenza di legittimità prevalente secondo cui le somme erogate in funzione di ristoro della perdita di chance professionali, ossia connesse alla privazione degli sviluppi o progressioni nell’attività lavorativa, non sono imponibili (cfr. Agenzia delle Entrate, Risposta ad Interpello 8 aprile 2022, n 185, 5). Pertanto, se, da un lato, risulta pienamente condivisibile la conclusione cui è giunta la Cassazione nella pronuncia in rassegna, dall’altro, anche alla luce della prassi erariale, desta perplessità la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, ove era di chiara ed inequivocabile evidenza – anche in ragione della precedente pronuncia del giudice del lavoro – che le somme, oggetto della ripresa a tassazione ai fini IRPEF, non fossero imponibili per essere state corrisposte a titolo di risarcimento del danno per perdita di chance.
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