Interessi legali maggiorati e crediti lavoristici: questo ‘matrimonio’ s’ha da fare?
di L. Sposato -
L’art. 17 del D.l. 12/09/2014, n.132 (per come modificato dalla legge di conversione 10/11/2014, n.162) ha introdotto, nel comma quarto dell’art. 1284 c.c., la seguente disciplina: «Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nella transazioni commerciali».
La disposizione ha sollevato, sin da subito, alcuni problemi applicativi: uno dei più spinosi concerne la riferibilità della norma anche alle obbligazioni pecuniarie relative a crediti di lavoro (o meglio: ai crediti di lavoro soggetti alla disciplina dell’art. 429, terzo comma, c.p.c.).
La sentenza del Trib. di Bologna 15/02/2022, n.82 (ma negli stessi termini si esprime anche il Trib. Torino 19/19/2017, n. 1942, che per completezza pubblichiamo) non nutre dubbi in proposito: anche se con una motivazione piuttosto succinta stabilisce che «la condanna agli interessi moratori ex art. 1284, co. 4, è corretta».
Questa la fattispecie: è emesso un decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di somme derivanti da un credito di lavoro; le somme sono maggiorate dagli interessi moratori di cui all’art. 1284, quarto comma, c.c.
In sede di opposizione, l’opponente denuncia l’inapplicabilità del suddetto quarto comma ai crediti di «natura lavoristica» (così è riportato in sentenza); e l’opposta ne assume, al contrario, l’applicabilità a tutti i procedimenti introdotti dopo l’11/12/2014: ciò in ragione della ratio, volta a «scoraggiare eventuali strategie dilatorie del debitore» (così sempre per come riportato in sentenza).
Nella giurisprudenza di merito, a questo orientamento – lineare nei suoi presupposti e basato sulla lettera dell’art. 1284, quarto comma, c.c. – se ne contrappone uno diverso, a quanto consta, attualmente propugnato dal solo Tribunale di Roma (con la sentenza 22/06/2020, n.3577, qui pubblicata, e con la precedente sentenza n. 5465/2019).
Secondo il Tribunale di Roma «la citata disposizione [n.d.r.: l’art. 1284, quarto comma] non si applica ai crediti di lavoro per i quali vige una specifica disciplina di favore e di fonte legale, quella prevista dall’art. 429, comma terzo, c.p.c., in cui, oltre al tasso di interesse legale, è previsto il risarcimento del maggior danno da svalutazione».
L’art. 429, comma terzo, c.p.c., infatti, stabilisce che «il giudice, quando pronuncia la condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito […]».
L’orientamento restrittivo si rifà a una tesi della giurisprudenza maturata prima dell’entrata in vigore del quarto comma dell’art. 1284 c.c. La tesi sostiene che i crediti di lavoro godono di «regime giuridico speciale rispetto a quello generale, delle obbligazioni pecuniarie» (così App. Roma 22/01/2019, n.110 in una fattispecie alla quale è estranea la questione dell’applicabilità della disposizione di cui ci stiamo occupando).
I crediti lavoristici, quindi, sarebbero sottratti a) al principio nominalistico e b) alle regole sulla responsabilità civile da inadempimento delle obbligazioni pecuniarie.
E ciò comporterebbe l’applicazione degli interessi sulla somma via via rivalutata a prescindere dalla colpa del debitore e in termini tali da rendere il capitale originario, gli interessi e la rivalutazione «componenti essenziali di una prestazione unitaria […]» (così Cass. 03/09/2014, n.18558; cfr. Cass. 22/05/2008, n.13123).
Questa ricostruzione unitaria non si spinge fino a considerare i crediti lavoristici come crediti di valore: la giurisprudenza di legittimità, difatti, ha chiarito che l’effetto dell’art. 429, comma terzo, c.p.c. è solo quello di garantire «il potere di acquisto del credito soddisfatto in ritardo e indipendentemente dalla mora del debitore», ma sempre sul presupposto che i crediti lavoristici appartengono alla categoria delle obbligazioni di valuta (la citazione è tratta da Cass. 11/04/1996, n.3370; cfr. Cass. SU 16/02/1984, n.1146).
Per tutte le altre obbligazioni pecuniarie: 1) l’estinzione avviene con moneta avente corso legale, nella misura corrispondente al valore nominale (principio nominalistico); e 2) l’eventuale deprezzamento del potere di acquisto, non compensato dall’applicazione degli interessi legali, può rilevare solo come posta di danno ulteriore, ai sensi dell’art. 1224 c.c.
Si tratterebbe comunque di una posta di danno, maturata durante la mora debendi, e non cumulabile con la corresponsione degli interessi (secondo le regole di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie).
La differenza tra questo regime di favore e il regime ordinario, peraltro, si è assottigliata nel tempo; ciò a partire da quando, la Cass. SU 16/07/2008, n.19499 ha semplificato, per tutte le altre obbligazioni pecuniarie, il regime probatorio del maggior danno ex 1224, secondo comma, c.c.
Le SU hanno stabilito che «nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento […]».
Il maggior danno presunto nelle obbligazioni pecuniarie è così liquidato «nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi ed il saggio di interessi legali determinato ogni anno ai sensi dell’art. 1284, comma 1, c.c.».
L’inciso “in difetto di discipline particolari”, contenuto nella prima delle due citazioni delle SU, si riferisce proprio al regime speciale previsto dall’art. 429 c.p.c.
La Cassazione vuole fugare «l’eventuale preoccupazione che le conclusioni raggiunte si risolvano in un trattamento dei crediti ordinari più favorevole di quello “speciale” riservato ai crediti lavoristici dall’art. 429, comma 3, c.p.c.»; e per far ciò individua un meccanismo di risarcimento presuntivo (quello sopra descritto) che determina un quantum verosimilmente più basso rispetto al cumulo di interessi e rivalutazione.
L’obiettivo dell’argomentazione complessiva, pertanto, è semplificare il regime di prova del maggior danno nelle obbligazioni pecuniarie, garantendo ai crediti di lavoro un ristoro tendenzialmente maggiore.
L’argomentazione delle SU costituisce una prima direttiva utile allo sviluppo del nostro ragionamento.
Per valutare se il regime speciale lavoristico prevalga, sempre e comunque, anche sull’applicazione dell’art. 1284, quarto comma, c.c. – la cui introduzione, evidentemente impatta anche sul sistema risarcitorio delle altre obbligazioni pecuniarie – è opportuno, a questo punto, introdurre alcune definizioni.
Si è già definito il principio nominalistico. Il nostro ordinamento conosce anche il principio di naturale fecondità del denaro: chi dispone, per un certo lasso di tempo, di denaro altrui deve sopportare un costo per questo vantaggio economico; gli interessi, che sono prestazioni pecuniarie percentuali e periodiche, costituiscono questo costo. Questi interessi sono definitivi compensativi.
La giurisprudenza tende a distinguere gli interessi compensativi in senso proprio (a esempio: quelli sulle somme dovute a titolo di prezzo dal compratore che ha già il possesso del bene ex art. 1499 c.c.; quelli sulle somme dovute a titolo risarcitorio o indennitario), dagli interessi corrispettivi (quelli sulle somme date a mutuo; quelli di pieno diritto sulle somme liquide ed esigibili, di cui art. 1282 c.c.).
Tutti questi interessi hanno una funzione remuneratoria di un capitale; e si distinguono dagli interessi moratori che hanno, invece, una funzione risarcitoria. Gli interessi moratori costituiscono una liquidazione forfettaria minima del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie.
Gli interessi compensativi e gli interessi moratori possono coesistere in relazione alla stessa obbligazione pecuniaria nel caso in cui il credito sia liquido ed esigibile, e si siano prodotti gli effetti della mora debendi.
Un credito è liquido quando il suo ammontare è certo o facilmente accertabile mediante operazioni di mero conteggio; un credito è esigile quando non è soggetto a condizione sospensiva o a termine.
Per le obbligazioni pecuniarie che devono essere pagate al domicilio del creditore (chiamate per questo “portabili”) gli interessi moratori sono dovuti a partire dalla scadenza del termine di pagamento, a prescindere da un atto di costituzione in mora.
In questo caso (credito portabile, liquido ed esigibile), gli interessi compensativi di pieno diritto (1282 c.c.) e gli interessi moratori (1224 c.c.) sono entrambi dovuti, ma non in cumulo: la corresponsione dei primi, difatti, elide il danno risarcibile mediante i secondi.
I crediti lavoristici sono generalmente liquidi ed esigibili, ai fini della produzione degli interessi di pieno diritto; e sono “portabili”, ai fini della mora ex re.
L’art. 429, terzo comma, utilizza le locuzioni “interessi nella misura legale” e “maggior danno per la diminuzione del valore del credito”.
Il regime di favore non è dato, dunque, dall’applicazione degli interessi nella misura legale che sarebbero comunque dovuti (siano essi compensativi di pieno diritto o moratori); ma è dato dall’automaticità della decisione del giudice, estesa anche al calcolo del maggior danno da svalutazione, e dal cumulo delle due voci (interessi e rivalutazione).
Ma qual è la norma che individua e quantifica gli interessi nella misura legale?
L’art. 1284 c.c. stabilisce, nel primo comma, come si individua il tasso di interesse legale applicabile per il periodo compreso tra la scadenza del termine di pagamento del credito e fino alla data della domanda giudiziale; e, nel secondo comma, come si individua il medesimo tasso di interesse legale per il periodo successivo alla domanda giudiziale.
Il maggior danno da svalutazione, inoltre, potrebbe non prodursi concretamente: come ben sa il legislatore del 429 che, difatti, parla di “maggior danno ‘eventualmente’ subito”.
Se non c’è (danno da) svalutazione perché non c’è perdita del potere di acquisto della moneta, il “regime giuridico speciale” dei crediti lavoristici si riduce alla sola applicazione d’ufficio degli “interessi nella misura legale”.
E questo determina, qualora si escluda l’applicazione degli interessi legali maggiorati, un effetto tutt’altro che favorevole; in contraddizione con la logica sottesa alle SU del 2008.
Non solo: questo “regime giuridico speciale”, apparentemente inattaccabile, cede in caso di previsione di interessi convenzionali (così pacificamente in giurisprudenza): ossia nel caso in cui la contrattazione collettiva (o il contratto individuale: ipotesi più remota) fissi un tasso convenzionale per gli interessi di mora.
In questo caso, la giurisprudenza ammette l’alternatività dei due regimi, sulla base della maggiore convenienza per il lavoratore, manifestata con la domanda giudiziale (cfr. tra le più recenti di merito, Corte Appello Trento 06/03/2020, n.12).
È abbastanza evidente che il quarto comma dell’art. 1284 c.c. si comporta esattamente (mutato ciò che deve essere mutato) come una previsione del contratto collettivo: introduce un tasso maggiorato di favore, a far data dalla domanda giudiziale.
A partire da questo momento, dunque, il regime del cumulo degli interessi legali (quelli del primo comma dell’art. 1284) e della rivalutazione dovrebbe lasciare il posto all’applicazione degli interessi maggiorati del quarto comma (ed è proprio questa la soluzione, condivisibile, sposata dalla sentenza del Tribunale di Torino citata retro).
In ultimo, ma non ultimo per importanza, non si possono ignorare alcuni recenti arresti della Corte di Cassazione, sebbene pronunciati in fattispecie estranee alla materia lavoristica.
La Cassazione ha di recente chiarito che «la norma di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, disciplina il saggio degli interessi legali – e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza – applicato a seguito d’avvio di lite sia giudiziale che arbitrale però in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti […]».
Ad avviso del giudice di legittimità, da un canto, lo scopo della disposizione è «rendere svantaggioso il ricorso ad inutile litigiosità»; e, dall’altro, l’unica limitazione applicativa dipende dalla fonte dell’obbligazione pecuniaria, che deve essere contrattuale (così Cass. 25/03/2019, n.8289; cfr. Cass. 07/11/2018, n.28409).
Anche sotto questo terzo e ultimo profilo, pertanto, la specialità del regime dei crediti lavoristici (che sono pur sempre crediti di fonte contrattuale) non dovrebbe costituire alcun ostacolo alla celebrazione del ‘matrimonio’.
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