Giudici onorari – Stato Italiano. La partita prosegue in casa. In campo Consulta e legislatore con possibili tempi supplementari
di C. Musella -
La disciplina del rapporto di lavoro della magistratura onoraria registra, ormai a distanza sempre più ravvicinata, continui interventi delle istituzioni europee ed interne che nascono dall’obiettivo ed innegabile conflitto tra la realtà del lavoro dei giudici onorari nel sistema giustizia del nostro paese (https://www.ilsole24ore.com/art/magistrati-onorari-stabilizzazione-stipendio-e-pensione-AEeZQb2) e la resistenza del legislatore interno ad adeguare la mappa normativa con un assetto giuridico non precario e conforme a tale realtà lavorativa; resistenza che da tempo suscita severe censure da parte della commissione europea (cfr. Proto Pisani, La magistratura onoraria tra Commissione europea e (tentata) furbizia italiana, in Foro it, 2018, V, 42 ss.) sfociate, da ultimo, nella procedura di infrazione del luglio 2021.
La resistenza del legislatore interno ha avuto motivi di vario ordine certamente radicati sul concetto di “funzionario onorario” e sulla regola costituzionale dell’accesso al lavoro pubblico stabile tramite concorso, ma connessi anche ad una innegabile costante tendenza un po’ miope a risparmiare sui costi del lavoro pubblico stabile.
Un peso centrale nella materia e nel processo di avvicinamento della mappa normativa interna al territorio reale del lavoro della magistratura onoraria riveste l’intervento della Corte di Giustizia con la sentenza 16 luglio 2020 UX (Intervista di V.A. Poso a Edoardo Ales, Umberto Gargiulo, Marco Macchia e Carla Musella, Qualificazione del rapporto di lavoro e tutele dei magistrati onorari alla luce della sentenza della Corte di Giustizia (seconda sezione), 16 luglio 2020, C-658/18, UX, in www.giustiziainsieme.it, 21 aprile 2021) se non altro perché imperniato sulla nozione di lavoro euro unitario non accessorio e non marginale che prescinde dal concetto di funzionario onorario e dalla modalità di accesso, superando così ogni ostacolo derivante da regole dell’ordinamento interno alla considerazione del lavoro di fatto svolto da tali magistrati.
La nozione euro unitaria di lavoro a titolo oneroso non marginale e non accessorio costituisce la chiave di volta per adeguare la mappa normativa al territorio del lavoro dei giudici onorari, ma fino ad ora non è stata tenuta in considerazione dal legislatore interno.
Tra gli interventi a distanza ravvicinata degli ultimi mesi si annoverano la ordinanza di rimessione alla Consulta pronunciata il 29 novembre 2021 dal Tribunale di Brescia, oggetto del presente commento e, da ultimo, le modifiche contenute nella legge di bilancio 30 dicembre 2021, n. 234 commi 629-633 al d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, che disciplina lo stato giuridico dei magistrati onorari.
Con la ordinanza in commento il giudice del lavoro di Brescia ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 7 della l. 21 novembre 1991, n. 374 che ha introdotto il giudice di pace nel nostro ordinamento, nella parte in cui consente il rinnovo degli incarichi per 18 anni e dell’art. 1 del d.lgs. 31 maggio 2016, n. 92 nella parte in cui consente un ulteriore incarico di durata quadriennale, così da determinare una reiterazione abusiva degli incarichi, e ciò per contrasto con l’art. 117 co.1 Cost., in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999.
La rimessione alla Corte costituzionale è avvenuta nell’ambito della controversia proposta da un giudice di pace che lavora presso il Tribunale locale dal 2012 e che aveva già prestato servizio come giudice di pace dal 2004 al 2012, presso altre località, tenendo complessivamente 920 udienze due giorni alla settimana e definendo oltre 13mila procedimenti.
Il giudice di pace aveva quindi svolto un lavoro certamente non marginale e non accessorio.
Il giudice bresciano, preso atto della sentenza C. giust., 16 luglio 2020, UX C-658-18 (in www.rivistalabor.it, 23 gennaio 2021), ravvisa il contrasto tra l’art. 7 l. n. 374/91 e l’art. 1 d.lgs. n. 92/2016 con la clausola 5 dell’accordo quadro 1999/70/CE e, quindi, con l’art. 117 cost. considerato che le direttive comunitarie costituiscono norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della legislazione interna all’art. 117 comma 1 cost.
Il contrasto tra la disciplina della proroga dei contratti a termine per i giudici onorari e la clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro sul contratto a tempo determinato dir. 1999/70/CE viene considerata dal giudice bresciano non suscettibile di risoluzione in via interpretativa, «stante il tenore testuale delle norme che, appunto, consentono il rinnovo degli incarichi per ben 22 anni e senza motivazione alcuna. Tale conclusione è confermata dal fatto che la disciplina di settore ha natura chiusa e speciale, non presenta lacune logico-normative bisognose di essere colmate e non appare integrabile in via ermeneutica da parte di fonti più generali».
L’argomentazione del giudice remittente, ora riportata testualmente, potrebbe essere ribaltata sulla base delle sue stesse argomentazioni. L’interpretazione conforme ben può essere fatta proprio sulla base della sentenza della C. Giust., 16 luglio 2020 cui pure fa riferimento il giudice bresciano.
La Corte UE costituisce fonte del diritto euro unitario, immediatamente applicabile nel nostro ordinamento per cui, a prescindere dalla clausola 5 della dir. 1999/70/CE, la sentenza UX del 16 luglio 2020 contiene la fonte generale ed astratta di cui lamenta la mancanza il giudice remittente.
La dottrina più avveduta afferma da tempo la prevalenza delle norme dell’ordinamento comunitario, attraverso la non applicazione di quelle interne confliggenti e riconosce tale prevalenza alle sentenze della Corte di giustizia pronunziate in sede di interpretazione pregiudiziale delle norma comunitaria (Santoro-Passarelli, L’applicabilità e l’efficacia diretta nell’ordinamento italiano delle norme comunitarie in materia di lavoro, in ADL, 1995, 41). Più recentemente afferma A. Supiot: «la Corte di Giustizia detiene una parte essenziale del potere legislativo nell’ambito dell’unione europea. Alla stregua delle corte sovrane dell’Ancien régime o delle Alte Corti nei sistemi di Common Law essa, proprio come la legge, dispone per il futuro con i caratteri della astrattezza e generalità.» (Supiot, La sovranità del limite, Giustizia lavoro ambiente nell’orizzonte della mondializzazione, a cura di Allamprese e D’Ambrosio Mimesis, 2021, 103).
E certamente dalla sentenza C. giust., 16 luglio 2020, cit., si desume che i giudici onorari devono essere considerati lavoratori in senso euro unitario qualora la loro attività sia non marginale ed accessoria e presenti quel carattere di onerosità che contraddistingue la nozione euro unitaria di lavoratore (cfr. in tema Giubboni, Per una voce sullo status di lavoratore subordinato nel diritto dell’Unione Europea, in RDSS, 2018, 207); nozione utile proprio per l’applicazione, tra l’altro, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato a prescindere dalla stessa subordinazione come è intesa nel diritto interno.
La nozione di lavoratore si trova nella sentenza 16 luglio 2020, UX, ma anche in precedenti giurisprudenziali della Corte di giustizia, quali, ad esempio, C. giust., 26 marzo 2015, C-316/13 Fenoll, ove espressamente si esclude che la natura sui generis del rapporto di lavoro nell’ambito del diritto nazionale possa avere rilievo al fine di escludere la nozione di “lavoratore” in senso euro unitario (punto 31 di C. giust., 26 marzo 2015, cit.) e quindi, deve considerarsi un dato normativo acquisito sia nel settore privato che in quello pubblico.
Il giudice poteva, quindi, interpretare le norme vigenti alla luce del diritto euro unitario derivante non solo dalla sentenza UE in materia di lavoro dei giudici onorari, ma anche alla luce di altre pronunce per cui l’abuso del contratto a termine nel settore pubblico comporta il risarcimento del danno.
La materia dell’abuso del contratto a termine nel lavoro pubblico è stata, a sua volta, oggetto di varie pronunce della Corte di Giustizia. Si ricordano, in particolare, C. giust., 4 luglio 2006, Adeneler, C- 212/04 ; C. giust., 7 settembre 2006, Marrosu —Sardino, C-53/04; C. giust., 26.11.2014 Mascolo e altri C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, per il settore della scuola; C. Giust., 7 marzo 2018, Santoro e Comune di Valderice C-494/16.
Dal complesso di queste decisioni si desume che l’ordinamento multilivello contiene la fonte generale ed astratta secondo la quale l’abuso del contratto a termine nel settore pubblico deve comportare una sanzione che può anche essere diversa dalla trasformazione del contratto di lavoro, ma che non può determinare la perdita di effettività della normativa europea sui contratti a tempo determinato. Tale complesso normativo è stato integrato in via interpretativa dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez.un., 15 marzo 2016, n. 5072) sicché è quantomeno discutibile la conclusione cui è pervenuta l’ordinanza in commento della mancanza di fonti generali idonea a regolamentare la fattispecie.
In materia vi sono, del resto, alcuni precedenti di merito che riconoscono il risarcimento del danno da abuso del contratto a tempo determinato. Altri giudici di merito (Trib. Vicenza, n. 343 del 29 dicembre 2020 e 23 luglio 2021 n. 287, Trib. Napoli, 11 gennaio 2021, n. 6015) hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno condannando il Ministero della Giustizia per l’abuso della reiterazione del contratto di lavoro a termine (Poso, Ufficiale (di complemento) e gentiluomo, ma anche subordinato? Iudex honorarius, de te fabula narratur, in www.rivistalabor.it , 23 gennaio 2021). È pur vero che fin quando si resta nell’ambito della risposta giurisdizionale, permangono differenze di decisione ed incertezza del diritto che solo una fonte interna erga omnes può risolvere. Ed è certo che tale intervento non può che promanare dal giudice delle leggi, a meno che la legge stessa, come pare sia avvenuto con la finanziaria 2022, non faccia ammenda dei propri errori di regolamentazione e si adegui all’input euro unitario.
Molti sono quindi gli esiti possibili della ordinanza di rimessione del giudice bresciano.
Una prima possibilità è quella della inammissibilità, ove la Consulta affermi che il giudice di merito, attraverso l’interpretazione conforme al diritto euro unitario, poteva superare ipotesi di contrasto con l’art. 117 Cost.
Va, inoltre, considerato che il giudice bresciano non ha rimesso alla Corte costituzionale le norme del d.lgs. n. 116/2017, ma l’art. 7 della l. 21 novembre 1991 n. 374 che ha introdotto il giudice di pace nel nostro ordinamento, nella parte in cui consente il rinnovo degli incarichi per 18 anni, e l’art. 1 del d.lgs. 31 maggio 2016, n. 92. Il giudice avrebbe dovuto forse richiamare tutto il complesso normativo incluso il d.lgs. n. 116 del 2017, art. 32, che ha prorogato la vigenza della legge del 1991 fino al 31 dicembre 2021.
Tale aspetto formale, pur considerando che le norme del 1991 erano in vigore fino al 31 dicembre 2021, potrebbe determinare altra tipologia di decisione di inammissibilità; la Consulta adotta queste pronunce (cfr. ordinanza 26 maggio 2006, n. 210) talvolta quando il parametro legislativo da sottoporre al suo vaglio non è indicato con precisione e completezza dal giudice remittente.
Accanto a questo, gli ultimi eventi suggeriscono più probabili esiti dell’ordinanza in commento.
Gli emendamenti al d.lgs. n. 116/2017 (vedi art. 1 comma 629 – 633 legge n. 234/2021 che sostituisce l’art. 29 del d.lgs. n. 116/2017 cit.) prevedono, in via di estrema sintesi, e per quel che rileva in questo commento, la possibilità di conferma per tutti i magistrati onorari in servizio fino a 70 anni con la entrata in un contingente di “magistrati onorari ad esaurimento”, dopo il superamento a domanda di una procedura valutativa su base circondariale, operata mediante prova orale su un caso concreto da svolgersi davanti ad una Commissione composta da magistrati ed avvocati e presieduta dal presidente del tribunale.
La modifica legislativa – che segue una metodologia analoga a quella adottata per i precari della scuola che vennero stabilizzati a seguito della sentenza C. Giust., 26 novembre 2014 Mascolo e altri – è rilevante per il nostro tema perché incide fortemente sulla questione di costituzionalità sollevata dal giudice bresciano sia per la ragione formale ovvia che le norme contenute nella legge di bilancio riguardano nella sostanza il cuore del problema rimesso alla Consulta e, sia per il precedente relativo ai precari della scuola e all’intervento del legislatore dopo la sentenza Mascolo ritenuto esaustivo dalla Corte Costituzionale nella sentenza 20 luglio 2016 n. 187.
La Corte potrebbe ritenere che la nuova normativa, che contiene ipotesi di stabilizzazione dei rapporti a termine dei giudici onorari, debba essere riesaminata dal giudice remittente. La partita tra il legislatore e la Corte costituzionale potrebbe avere, quindi, tempi supplementari per la valutazione dello ius superveniens così come avvenuto con la decisione C. cost., 20 luglio 2016, n. 194 in tema di precari della scuola, oppure potrebbe dar luogo direttamente ad una decisione della questione a prescindere dalla nuova normativa.
Carla Musella, già Consigliere della Corte d’appello di Napoli
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