Diritto alla pensione di reversibilità e preesistenza di un rapporto giuridico formalizzato nelle relazioni omoaffettive
di V. Aniballi -
La Corte di Cassazione – con l’ordinanza della Prima Sezione Civile 14 marzo 2022, n. 8241, qui annotata – è tornata a pronunciarsi sulla configurabilità del diritto alla pensione di reversibilità a favore del partner di una relazione affettiva stabile e di lunga durata con persona dello stesso sesso, svoltasi e conclusasi, a causa del decesso dell’altro partner, prima dell’entrata in vigore della legge n. 76 del 20 maggio 2016.
Con la disciplina delle convivenze di fatto e l’introduzione dell’istituto della “unione civile” tra persone dello stesso sesso, il legislatore nel 2016 ha infatti colmato una lacuna presente nell’ordinamento italiano e già segnalata dalla Corte Edu (sentenza Oliari c. Italia del 21 luglio 2015). In particolare, alle coppie omoaffettive che siano parti di una “unione civile” è esteso il diritto ai trattamenti previdenziali nei termini di cui all’art. 1, co. 20, legge n. 76 del 2016.
Nel caso de quo il ricorso veniva presentato da una donna, compagna e stabilmente convivente per trent’anni di una pensionata titolare del trattamento erogato dall’INPS, quest’ultima deceduta prima dell’entrata in vigore della legge. Richiamando il principio di irretroattività dettato dall’art. 11 preleggi, la Corte di Cassazione esclude il diritto alla pensione di reversibilità della donna superstite.
La Corte coglie l’occasione per affermare che “l’impossibilità per la coppia omoaffettiva di beneficiare del trattamento previdenziale, nel contesto normativo antecedente alla L. n. 76 del 2016, trova giustificazione nella impossibilità di contrarre il vincolo matrimoniale, trattandosi di una scelta del legislatore che è espressione del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati”. All’apprezzamento degli stessi è rimessa, “anche successivamente all’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso … purché garantisca a tali unioni uno standard di tutela adeguato (cfr. Cass., sez. I, n. 11696 del 2018)”. In ogni caso, “da ciò non è possibile inferire la necessità di riconoscere in via giurisprudenziale alle coppie omoaffettive, indipendentemente dall’intervento del legislatore, tutti i diritti anche patrimoniali e previdenziali riconosciuti alle coppie coniugate solo dal 2016”. Diversamente, verrebbe annullato quel margine di discrezionalità riservato al legislatore nella scelta, tra l’altro, dei tempi e delle modalità per realizzare le istanze di tutela provenienti dalla società.
Pertanto, non avendo espressamente previsto la retroattività della legge in tema di “unioni civili”, il legislatore ha implicitamente ribadito l’irretroattività della stessa che, “per essere derogata, avrebbe richiesto una adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, anche tenendo conto dei valori lesi dall’efficacia a ritroso della norma (vd., a livello di principio generale, Corte Cost. n. 73 del 2017)”.
I Giudici di legittimità ricordano, tra l’altro, quanto chiarito dalla Corte Edu (Tomàs Aldeguer c. Spagna, 14 giugno 2016) rispetto all’art. 8 Cedu, in quanto la norma “nell’ambito della tutela della vita privata e familiare, non assicura il diritto di beneficiare di uno specifico regime di previdenza sociale, come il diritto alla pensione di reversibilità, tanto più che nel periodo considerato gli Stati godevano di un certo margine di apprezzamento e mancava un consenso degli Stati circa i diritti da attribuire alle coppie same sex”. Su tali fondamenta la Corte ha escluso una violazione del principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale, in quanto il partner che rivendicava la pensione non si trovava nella medesima situazione del coniuge; inoltre, il diniego di riconoscimento della pensione si basava unicamente sul fatto che la coppia non era sposata, circostanza che costituiva una condizione per ottenere la pensione di reversibilità.
In occasione della pronuncia in commento, come già in altre (Cass. civ., Sez. lav., 6 luglio 2016, n. 22318 e Cass. civ., Sez. lav., 14 settembre 2021, n. 24694), la Corte di Cassazione ritiene di doversi mantenere nel solco tracciato dalla Corte costituzionale nel negare il diritto alla pensione di reversibilità ai conviventi more uxorio (Corte cost., 3 novembre 2000, n. 461e 8 maggio 2009, n. 140). La Corte di Cassazione ricorda in proposito che il Giudice delle leggi ha escluso che il principio di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana comporti necessariamente il diritto al trattamento di reversibilità per il convivente superstite, ritenendo così costituzionalmente legittime le disposizioni che non includono anche i conviventi more uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità. In particolare, la pensione di reversibilità non è attribuita in caso di convivenza more uxorio perché, diversamente dal rapporto coniugale, la prima “è fondata esclusivamente sulla affectio quotidiana liberamente e in ogni istante revocabile – di ciascuna delle parti e si caratterizza per l’inesistenza di quei diritti e doveri reciproci, sia personali che patrimoniali, che nascono dal matrimonio” (Corte cost., 3 novembre 2000, n. 461).
Senonché vi è una differenza sostanziale tra i conviventi more uxorio e le coppie omossessuali che non possono sposarsi né potevano, fino all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, unirsi civilmente.
Se da un lato la situazione in cui versava la richiedente non poteva essere equiparata a quella della coppia eterosessuale legata da vincolo di coniugio, mancando all’epoca una disciplina dell’unione civile; dall’altro non poteva neppure essere posta sullo stesso piano di quella della convivenza more uxorio, giacché la convivenza delle coppie omosessuali non era una scelta libera al pari di quanto accadeva per le persone di sesso diverso. Prima dell’entrata in vigore della l. n. 76/2016, infatti, mentre i componenti delle coppie eterosessuali avevano la libertà di optare per il matrimonio e, conseguentemente, di godere dei diritti che da esso la legge fa derivare, tra cui la prestazione pensionistica ai superstiti, altrettanto non poteva dirsi per quelli delle coppie omoaffettive. A queste ultime era infatti preclusa la possibilità di istituzionalizzare la propria relazione familiare e, di conseguenza, di acquisire i relativi diritti.
La questione di fondo è che il trattamento previdenziale in questione è geneticamente collegato ad un preesistente e formalizzato rapporto giuridico, inaccessibile alle coppie omoaffettive prima dell’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016.
Al riguardo va però richiamato il percorso interpretativo intrapreso dalla giurisprudenza e teso ad ampliare la platea dei beneficiari della pensione di reversibilità.
Adeguando la nozione di famiglia all’evoluzione della coscienza sociale, la Corte costituzionale (15 giugno 2016, n. 174) ha chiarito che, “nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico. Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge… Lo stesso fondamento solidaristico permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili”.
Inoltre, ispirandosi ad un criterio di ragionevolezza, ha assecondato la ratio protettiva ispiratrice dell’istituto. La concessione del trattamento ai superstiti è stata così riconosciuta a soggetti legati al lavoratore defunto da vincoli familiari di vario genere, alla sola condizione che fosse quest’ultimo a provvedere al loro sostentamento, secondo il comune requisito della cosiddetta “vivenza a carico”, vale a dire “il sostentamento del ‘familiare’ in modo continuativo e non occasionale, in adempimento di uno specifico obbligo giuridico o di un mero dovere” (C. cost., 8 luglio 1987, n. 286; in senso analogo v. C. cost., 22 giugno 1988, n. 777 e Cass., 13 aprile 2018, n. 9237).
Da ultimo, la sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 5 aprile 2022 estende il diritto alla pensione di reversibilità dei nonni anche ai nipoti maggiorenni, orfani dei genitori e inabili al lavoro. Al riguardo il Giudice delle leggi ha ritenuto “illogico, e ingiustamente discriminatorio, che i soli nipoti orfani maggiorenni e inabili al lavoro viventi a carico del de cuius siano esclusi dal godimento del trattamento pensionistico dello stesso, pur versando in una condizione di bisogno e di fragilità particolarmente accentuata: tant’è che ad essi è riconosciuto il medesimo trattamento di reversibilità in caso di sopravvivenza ai genitori, proprio perché non in grado di procurarsi un reddito a cagione della predetta condizione”.
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