1. Premessa: Il contributo della giurisprudenza amministrativa nell’ambito del diritto universitario (qui inteso in un’accezione ristretta, limitatamente alle procedure di abilitazione scientifica nazionale e ai concorsi per l’accesso alla docenza universitaria) ha assunto, nel nostro ordinamento, particolare rilevanza sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista della originalità del contenzioso, e cioè delle questioni affrontate dalla giurisprudenza amministrativa. Con riferimento al primo aspetto è possibile osservare come, nel corso del 2023, le pronunce rese dai Tribunali Amministrativi Regionali e dal Consiglio di Stato siano state, in questa materia, ben 447; tra queste, sono state pubblicate 319 sentenze, 98 ordinanze collegiali e 30 decreti monocratici (dati raccolti da UniCoLAB, Osservatorio sulla giurisprudenza amministrativa in materia di concorsi universitari e ASN – www.unicolab-osservatorio.it). Più specificatamente, le 319 sentenze pubblicate dai giudici amministrativi hanno riguardato le seguenti procedure: i) chiamata dei Professori di I e II fascia (145 sentenze); ii) reclutamento dei Ricercatori universitari (84 sentenze); iii) abilitazione scientifica nazionale (90 sentenze). Il 45% del contenzioso universitario ha avuto ad oggetto, quindi, le procedure di chiamata dei Professori di I e II fascia. Tale dato statistico dimostra che la materia universitaria è caratterizzata da un’elevata conflittualità, agevolata – ad avviso di chi scrive – dal concorso (sebbene non esclusivo) di due fattori. Un primo fattore condizionante si ricollega all’autonomia universitaria (art. 33, comma 6, Cost. da intendersi anche come autonomia normativa e quindi come autonomia regolamentare) la quale, per come in concreto esercitata dalle singole Università, ha determinato la configurazione di diversi modelli di reclutamento e quindi, a valle dei procedimenti di selezione, un’elevata conflittualità. Tale conflittualità discende da una stratificazione normativa, a più livelli (legislativa e regolamentare), spesso scarsamente coordinata, che determina la configurazione di una disciplina assai difficile da decodificare. Vi è tuttavia anche un secondo elemento da considerare come concausa del fenomeno. Il dato numerico sopra riportato è espressione di un cambiamento culturale che ha riguardato il mondo universitario nei confronti del quale, fino ad un recente passato, una parte della comunità scientifica ha finanche sostenuto la inapplicabilità della regola del concorso pubblico (art. 97 Cost.) in favore di meccanismi diversi di cooptazione, non sconosciuti ad altri ordinamenti (v. https://www.ilsole24ore.com/art/all-universita-cooptazione-funziona-meglio-concorsi-ACoGKJd). Il presente contributo si propone allora di esaminare una specifica tematica posta all’attenzione della giurisprudenza amministrativa in materia di reclutamento universitario e cioè quella relativa al rapporto tra la fase di selezione (di competenza della Commissione esaminatrice) e quella di immissione in ruolo (affidata Consiglio di Dipartimento). Tale questione sarà esaminata alla luce di due principi costituzionali e cioè il principio dell’autonomia universitaria (da una parte) e la regola del concorso pubblico (dall’altra). 2. Il rapporto tra Commissione esaminatrice e Consiglio di Dipartimento nelle procedure di reclutamento dei Professori universitari Il vigente sistema di reclutamento della docenza universitaria trova la sua fonte normativa nella L. 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. Legge Gelmini). L’art. 1, comma 2, di tale legge stabilisce che ciascuna Università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità (secondo un criterio di sintesi che potremmo definire di autonomia responsabile); i successivi artt. 18 e 24 disciplinano, per quanto qui d’interesse, la chiamata dei professori (di I e II fascia), prevedendo diversi meccanismi di reclutamento. Con riferimento al meccanismo ordinario (art. 18 l. cit.), il legislatore ha rimesso alle singole Università il compito di disciplinare, con proprio regolamento, la chiamata dei professori di prima e seconda fascia, nel rispetto di una serie di criteri indicati nella stessa disposizione (pubblicità del procedimento; requisiti di ammissione dei candidati) nonché nel rispetto della Carta europea dei ricercatori e del codice etico. Fra i suindicati criteri si prevede espressamente quello secondo cui la procedura di chiamata deve prevedere la valutazione delle pubblicazioni scientifiche, del curriculum e dell’attività didattica dei candidati (da parte della Commissione) mentre la proposta di chiamata proviene dal Consiglio di Dipartimento interessato (art. 18, comma 1, lett. e) l. 240/2010). Un profilo particolarmente interessante, che ha costituito oggetto di approfondimento da parte della giurisprudenza amministrativa, ha riguardato la relazione intercorrente tra la fase di selezione (di competenza della Commissione) e quella di immissione a ruolo (affidata al Consiglio di Dipartimento). La individuazione del concreto atteggiarsi di tale rapporto assume particolare rilievo, in quanto, secondo i principi generali, dovrebbe essere la Commissione esaminatrice – in qualità di organo tecnico – ad esprimersi sui profili attenenti il merito dei candidati e quindi ad individuare il candidato migliore. Tale circostanza, tuttavia, non è pacifica. Gli approdi della giurisprudenza amministrativa sono assai eterogenei in considerazione della diversità contenutistica del parametro di legittimità che di volta in volta viene in rilievo (avuto riguardo, cioè ai regolamenti dei singoli atenei). Detto altrimenti, il concreto atteggiarsi del rapporto tra questi due organi (Commissione e Consiglio di Dipartimento) risente del diverso contenuto dei regolamenti universitari adottati in materia di reclutamento. Ai fini del presente contributo saranno esaminati, in modo paradigmatico, i Regolamenti dell’Università di Pisa e dell’Università di Palermo. Tali regolamenti distribuiscono, infatti, in modo diverso le competenze tra i suindicati soggetti. 2.1. Il regolamento adottato dall’Ateneo Pisano Il regolamento per la disciplina della chiamata dei professori di prima e seconda fascia adottato dall’Università di Pisa (modificato da ultimo con D.R. del 16 febbraio 2024) prevede che le Commissioni, all’esito di una valutazione comparativa delle pubblicazioni scientifiche, del curriculum, dell’attività didattica, esprimono giudizi descrittivi per ciascun candidato attribuendo ad ogni parametro una valutazione compresa tra insufficiente e ottimo. Sulla base di tali valutazioni, individuano i candidati valutati positivamente, esprimendo un giudizio complessivo (art. 6). All’esito di tale valutazione, sarà il Consiglio di Dipartimento a proporre la chiamata del candidato prescelto tra quelli valutati positivamente (art. 8). Rispetto alla chiamata dei Professori di prima e seconda fascia, quindi, l’Ateneo pisano attribuisce al Consiglio di Dipartimento il compito di scegliere il candidato tra quelli valutati positivamente dalla Commissione e di proporre tale nominativo al Consiglio di Amministrazione. Sulla legittimità di tale regolamento (seppur prima della modifica del febbraio 2024) si è espresso il giudice amministrativo, sia in primo grado (Tar Toscana), sia in grado di appello (Consiglio di Stato). Il Tar Toscana ha affrontato ex professo la problematica dei limiti decisionali del Consiglio di Dipartimento (Tar Toscana, sez. I, 23 febbraio 2023, n. 202). In quella occasione, il ricorrente aveva rilevato come il giudizio finale della Commissione non si era risolto in una “effettiva valutazione comparativa dei candidati ma solo in una ricognizione del valore degli stessi, rimettendo quindi al Consiglio di dipartimento una scelta comparativa che in realtà spettava alla commissione”. Il giudice amministrativo ha invece ritenuto la disciplina regolamentare conforme al modello previsto dal legislatore nella Legge Gelmini e ha ritenuto che il Consiglio di Dipartimento: i) potesse individuare il destinatario della chiamata sulla scorta dei giudizi sui profili scientifici degli idonei delineati dalla Commissione; ii) ma potesse anche effettuare valutazioni diverse qualora il curriculum di uno dei candidati fosse maggiormente in linea con le esigenze didattiche o con gli indirizzi di ricerca dell’Ateneo. Ciò in quanto l’art. 6 del regolamento citato stabilisce la Commissione individui (non il candidato migliore, ma) i candidati idonei a svolgere le funzioni didattico-scientifiche per le quali è stato bandito il posto; e tale competenza del Consiglio di Dipartimento trova esplicito fondamento nella norma primaria di legge. Il passaggio più interessante della sentenza in commento riguarda il modo con cui si addiviene alla proposta di chiamata da parte del Consiglio di Dipartimento. Secondo il Tar Toscana: “L’attenzione va pertanto spostata sull’operato del consiglio di dipartimento, la cui investitura – legale e regolamentare – a formulare la proposta di chiamata non può ridursi al pedissequo recepimento delle indicazioni della commissione, ma, ogniqualvolta sia stato individuato più di un idoneo, richiede necessariamente un autonomo passaggio valutativo, in chiave comparativa”. Dalla lettura di questa sentenza possono trarsi alcuni principi: i) il regolamento dell’Università, nella parte relativa alla distribuzione delle competenze tra Commissione e Consiglio di Dipartimento, è stato ritenuto conforme alla modello legale previsto dalla Legge Gelmini; ii) tale modello attribuisce alla Commissione il compito di individuare i candidati idonei a ricoprire il ruolo messo a bando; iii) il Consiglio di Dipartimento è chiamato a selezionare chi tra gli idonei è il candidato maggiormente idoneo e quindi il candidato da proporre per la chiamata tenuto conto, però, delle esigenze didattiche o degli indirizzi di ricerca dell’Ateneo; iv) la valutazione del candidato maggiormente idoneo non può ridursi al pedissequo recepimento delle indicazioni della Commissione ma richiede necessariamente un autonomo passaggio valutativo, in chiave comparativa. In un’altra sentenza (Tar Toscana, sez. I, 19 maggio 2022, n. 680) si fa una precisazione ancora ulteriore, con ampliamento dei poteri spettanti al Consiglio di Dipartimento in sede di proposta di chiamata: “la scelta del destinatario della chiamata non deve necessariamente ricadere sul candidato che, alla stregua delle sole valutazioni effettuate dalla commissione possa apparire più qualificato, ben potendo il Dipartimento, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, non chiamare alcuno dei candidati, oppure rivolgere la propria preferenza su un altro soggetto all’interno della rosa di idonei, il cui profilo scientifico risulti più coerente con le indicazioni contenute nel bando e con l’impegno didattico che dovrà essere ricoperto” (T.A.R. Toscana sez. I 16/10/2018 n. 1321)”. In chiave ulteriormente specificativa, tale sentenza precisa i criteri in base al quale deve orientarsi la discrezionalità del Consiglio di Dipartimento: i) gli stessi devono essere ancorati alla descrizione del posto da ricoprire contenuta nel bando con riguardo al settore scientifico disciplinare o alla descrizione delle funzioni da svolgere; ii) deve trattarsi di parametri preesistenti, che non possono essere enucleati a posteriori, nel corso del procedimento di selezione, trattandosi di un procedimento soggetto alle regole della evidenza pubblica. Tali conclusioni sono state confermate in grado di appello. Il Consiglio di Stato, nel respingere il ricorso proposto avverso la sopracitata sentenza (Cons. Stato, sez. VII, 27 aprile 2023, n. 4234) ha affermato che la selezione dei docenti universitari, per la rilevantissima funzione svolta, non può avvenire secondo logiche di cooptazione, dovendo essere rispettati i principi che governano l’esercizio dell’attività amministrativa (buon andamento, imparzialità, pubblico concorso). Ove il Consiglio di Dipartimento potesse prescindere dalla valutazione sul profilo scientifico demandata alla Commissione, ne deriverebbe la radicale inutilità di tale valutazione e la discrezionalità rischierebbe di debordare in arbitrio. Nel ricostruire i rapporti tra Commissione e Consiglio di Dipartimento, quindi, tale sentenza afferma che: i) al Consiglio di Dipartimento è preclusa la rivalutazione del profilo scientifico dei candidati; ii) la proposta di chiamata non può prescindere dai risultati della Commissione non essendovi autonomia tra le due fasi; iii) il principio di concorsualità preclude al Consiglio di Dipartimento di esprimersi sul maggior merito di un candidato, competendo, tale valutazione all’organo tecnico. 2.2 Il regolamento dell’Università di Palermo Il regolamento dell’Università di Palermo (modificato da ultimo con D.R. n. 1239 del 20 febbraio 2024) disciplina in modo diverso il procedimento di chiamata dei Professori nei rapporti tra Commissione e Consiglio di Dipartimento. Secondo quanto previsto dall’art. 6, al termine dei lavori la commissione individua, per ciascuna posizione messa a concorso, il candidato maggiormente qualificato a ricoprire il ruolo specificato nel bando; al Rettore spetta il compito di indicare, con proprio decreto, il nominativo del candidato più qualificato (art. 7); infine, l’art. 8, stabilisce che sia il Consiglio di Dipartimento a proporre al Consiglio di Amministrazione la chiamata del candidato individuato dal Decreto rettorale. Rispetto al regolamento dell’Ateneo pisano, quello dell’Università di Palermo ripartisce in modo diverso le competenze decisionali tra Commissione e Consiglio di Dipartimento in quanto attribuisce alla Commissione il compito di individuare il candidato maggiormente qualificato, così vincolando i poteri del Consiglio di Dipartimento. Sul tale rapporto si è espresso, di recente il Giudice amministrativo (in particolare, Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 30 novembre 2023, n. 3569). Il thema decidendum atteneva alla possibilità, per il Consiglio di Dipartimento, di non chiamare il candidato indicato dalla Commissione, sulla base di una diversa e rinnovata valutazione della qualificazione del predetto. Sul punto, il Tar ha ribadito la centralità del principio di connessione e progressività fra tutte le fasi del procedimento; in forza di tale principio, la discrezionalità della chiamata attribuita al Consiglio di Dipartimento non può trasformarsi in una sorta di potere di veto nei confronti di un singolo candidato risultato vincitore nella procedura selettiva. Tale sentenza quindi: i) riconosce il principio di connessione e progressività fra tutte le fasi del procedimento, pure affermato dal Tar Toscana; ii) il giudice siciliano offre di tale principio una connotazione forte, facendone discendere come corollario il divieto di ingerenza del Consiglio di Dipartimento rispetto alle valutazioni effettuate dalla commissione giudicatrice. 3. Conclusioni L’esame dei regolamenti in materia di reclutamento adottati dalle summenzionate Università dimostra, in modo emblematico, come l’autonomia universitaria (sub specie di autonomia regolamentare e quindi normativa) sia stata in grado di incidere in modo diverso sulla disciplina normativa prevista dalla Legge Gelmini (in particolare con riferimento alla procedura di chiamata dei professori). Nel caso dell’Ateneo pisano, infatti, il regolamento riconosce una maggiore autonomia al Consiglio di Dipartimento, che non è strettamente vincolato alle conclusioni raggiunte dalla Commissione esaminatrice pur dovendone tenere conto; diversamente, il regolamento dell’Università di Palermo limita la discrezionalità di tale organo, dando assoluta priorità alle valutazioni compiute dalla Commissione esaminatrice. In entrambi i casi, la giurisprudenza amministrativa (dei rispettivi Tribunali amministrativi regionali e finanche del Consiglio di Stato, per quanto concerne l’Università di Pisa) ha ritenuto conforme la disciplina regolamentare al parametro di legittimità, di volta in volta, evocato (l’art. 18 l. 240/10). Una questione non direttamente affrontata dalla giurisprudenza amministrativa almeno negli ultimi anni (e che si pone in modo problematico specie con riferimento al Regolamento dell’Università di Pisa) riguarda, tuttavia, la conformità della Legge Gelmini alla Costituzione, e in particolare, all’art. 97, nella parte in cui legittima, secondo le indicazioni della giurisprudenza, l’adozione di regolamenti di questo tenore. Nonostante la conformità, affermata dalla giurisprudenza amministrativa, del Regolamento dell’Ateno pisano alla Legge 240/10 si potrebbero ipotizzare profili di incostituzionalità di quest’ultima (in particolare, dell’art. 18) nella parte in cui legittima l’adozione di regolamenti di tal fatta, invocando come parametro di legittimità costituzionale l’art. 97 Cost. Il Consiglio di Dipartimento, rispetto alla procedura di reclutamento, non opera in qualità di organo tecnico, e questa circostanza potrebbe porre problemi di compatibilità con il principio meritocratico, sotteso alla previsione costituzionale di cui all’art. 97 Cost. In ipotesi, quindi, la questione, investirebbe il necessario bilanciamento tra due principi costituzionali, quello di autonomia, consacrato all’art. 33 Cost. e la regola del concorso pubblico, di cui all’art. 97 Cost. Evelina Chiara Sansotta, avvocata in Pisa Scarica il commento in PDF
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